Guida al postmoderno / ultima parte

“Ombrello” di Valentina Remenar, Lubiana (Slovenia)

L’ultima parte di questa breve (e personalissima) guida al postmoderno in letteratura è dedicata, come promesso, ai grandi romanzi americani, che sono secondo me le colonne portanti del genere. La vera lista che mi ha domandato Giulia Abbate è di conseguenza questa; nei due post precedenti mi sono limitato a un ampio excursus tra autori di tutto il mondo che senz’altro sono punti di riferimento del postmoderno in letteratura — ma quando io penso alla parola postmoderno, gli autori che m’illuminano d’immenso sono questi, e queste sono i loro testi fondamentali. Anche in questo caso, i link rimandano a testi dei quali sono io l’autore: voci Wikipedia compilate dal sottoscritto, benché anonime.

William Gaddis (1922-1998)

J.R. (1975)

Vent’anni dopo la delusione per l’insuccesso del suo primo romanzo, Le perizie (The Recognitions, 1955), e dopo svariati lavori (sceneggiature per documentari statali e discorsi per dirigenti d’azienda), William Gaddis pubblica un secondo, imponente testo, oltre 900 pagine nell’edizione italiana, che l’anno successivo vince il National Book Award con il plauso della critica. Invece di temperare gli aspetti intellettualistici e la complessità del precedente, si è impegnato in un’opera ancora più difficile, fatta solo di dialoghi, principalmente telefonici ma anche vis à vis, che giustifica il suo soprannome di Mr. Difficult (che è anche il titolo di un testo di Jonathan Franzen dedicato a Gaddis).

La vicenda si svolge a Long Island, N.Y., e racconta la storia paradossale di un giovanissimo businessman di enorme talento, J.R. Vansant, che però ha solo 15 anni e per le sue speculazioni è costretto a usare come prestanome il suo insegnante di musica, lo squattrinato Edward Bast, di pochi anni più anziano di lui ma di indole romantica e sognatrice, generoso e innamorato: una personalità completamente all’opposto di J.R. dal quale dipende in toto dal punto di vista economico. Tutto ha inizio dopo una gita scolastica alla sede di una ditta a New York, dove J.R. riceve un’azione omaggio  che lo spinge a speculare con l’apertura di un conto corrente intestato alla sua classe, sul quale opera investimenti. In breve, semplicemente con telefonata, riesce a rastrellare un pacchetto azionario per il controllo di una miniera che incarica Bast di liquidare, licenziando gli operai, per speculare sugli immobili del fondo pensioni. Sconvolto dall’insensibilità e dal cinismo del ragazzino, l’insegnante cercherà di fargli capire che al mondo esistono altre cose, cose diverse dal denaro, “cose che soltanto la musica può dire”, facendogli ascoltare una cantata di Bach.

Per Tommaso Pincio “JR è forse il più grande romanzo sul denaro di tutti i tempi nonché quello che meglio ha espresso il cuore della cultura americana.” In realtà è molto lontano da quella fama di impenetrabilità che Gaddis si è conquistato: il suo stile non è mai criptico o astruso (anche perché lavora esclusivamente sul linguaggio parlato), occorre però imparare a orizzontarsi nella miriade di personaggi, nelle questioni legali, e allora ci si rende conto di avere tra le mani un romanzo tradizionale, un plot assolutamente lineare, come sosteneva l’autore stesso: ma depurato, sfrondato dal superfluo, lontanissimo dall’estetica dell’immagine che domina la letteratura contemporanea.

David Foster Wallace (1962-2008)

Infinite Jest (1996)

Come tutte le opere fondamentali del postmoderno americano di questa lista, anche Infinite Jest (espressione tratta dall’Amleto di Shakespeare, con il significato di “scherzi infiniti”) è un’opera imponente, quasi 1500 pagine. Time l’ha inserito tra i cento migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 in poi. La trama è estremamente complessa, e intessuta con elementi futuribili: alcuni Stati nel nordest degli Usa sono  divenuti una colossale discarica per stoccare le scorie di una produzione d’energia battezzata “anulazione”; negli Usa, un regista dilettante, prima di suicidarsi, ha prodotto un film, il samizdat, la cui visione scatena un incontenibile piacere fisico, talmente intenso da catturare totalmente l’attenzione dello spettatore, che non vuole fare più nient’altro fino alla morte per inedia. La storia è ambientata in un’accademia sportiva presso Boston, Usa, dove studia Hal Incandenza, figlio del regista. Intersecano la trama un gruppo indipendentista del Québec, che intende fare un uso terroristico del samizdat per i propri fini, e gli utenti di un centro per la disintossicazione dall’abuso di stupefacenti, tra i quali Joelle Van Dyne, attrice-feticcio di Incandenza. Il romanzo è scritto in uno stile ricco di digressioni, con frasi lunghe e complesse, e episodi dilatati per decine e decine di pagine; Wallace utilizza a piene mani le note (p.es., per la filmografia di Incandenza, e in alcuni punti inserisce addirittura note alle note), ma la lettura di questo romanzo provoca un impagabile godimento estetico.

Don DeLillo (1936- )

Tra gli autori di questa top ten, il newyorchese DeLillo è forse il più fruibile, per cui consiglio di iniziare da qui un percorso di iniziazione al postmoderno.

Libra (1988)

Nel primo DeLillo una parte importante ha uno dei temi più caratteristici del postmoderno americano, cioè la teoria del complotto; e quale occasione migliore per un autore che il complotto americano per eccellenza, l’assassinio di J.F. Kennedy? Libra ricostruisce infatti a capitoli alterni la vita di Lee Harvey Oswald e l’organizzazione materiale dell’attentato di Dallas. Lo stile, molto rappresentativo della scrittura di DeLillo, procede per impressioni, spostandosi da un punto di vista all’altro, senza che emerga una realtà “oggettiva”. L’autore dichiarò di non avere intenzione di propagandare una verità alternativa a quella ufficiale, ma durante la lettura il dubbio si insinua. Lo stile potrebbe essere considerato “freddo” da alcuni lettori, perché non procede per emozioni ma per gesti e dialoghi.

Underworld (1997)

Questo ponderoso romanzo è il capolavoro dello scrittore americano di origine italiana, tra i migliori romanzi della letteratura Usa. Racconta l’America nella seconda metà del Novecento, utilizzando uno stratagemma-cornice: una palla da baseball battuta fuori campo viene ritrovata da uno spettatore, che la tiene per sé; una prima linea narrativa segue il destino dell’oggetto nei giorni successivi, ma è solo un pretesto per raccontare il cambiamento di New York attraverso i decenni. Una seconda segue le vicende personali di Nicholas Shay, che fino dalle prime pagine sappiamo essere uscito di galera dopo una condanna per omicidio. Ma il comportamento del personaggio contraddice questo fatto, e così di capitolo in capitolo, la vicenda risale all’indietro la sua vita fino agli anni Cinquanta, permettendoci di comprendere le sue ragioni e la dinamica dell’evento. I capitoli sono alternati con trascrizioni di trasmissioni tv, fatti reali, e una quantità di personaggi minori che vivono a Little Italy.

Underworld la traduzione di un film di Sergej Ejzenštejn, Unterwelt ritrovato a Mosca e distribuito per i cinefili nelle sale americane. Il romanzo termina negli anni Novanta nell’Asia centrale ex sovietica. Vi si mescolano numerosi temi del postmoderno: l’influenza invadente dei mass media, le teorie del complotto, la società dei consumi — quest’ultimo molto sentito da DeLillo, vedi il suo Rumore bianco (1985).

William T. Vollmann (1959- )

Insieme a D.F. Wallace appartiene a una nuova generazione di autori rispetto ai grandi del postmoderno; tra quelli presentati in questa lista è certamente il più prolifico, e quello che più si è impegnato al di fuori della fiction, con una serie di saggi su materie diverse, da Copernico alle ragioni della violenza, dall’immigrazione frontaliera dal Messico alla guerra in Afghanistan. Dopo un inizio rapporto difficile con l’Italia, dovuto anche alla mole delle sue opere, ha conquistato una sua platea di fan.

Sette sogni: un libro di paesaggi nordamericani (1990-)

Non è un romanzo ma un vasto ciclo di sette opere, tutt’ora in lavorazione perché alcune ancora non sono state scritte. L’intenzione di Vollmann è quella di ricostruire la colonizzazione del continente americano, e i conflitti tra i nativi e i nuovi venuti. Il primo volume, La camicia di ghiaccio, ha per protagonisti i vichinghi e i nativi americani dell’odierno Canada, intorno all’anno 1000. Venga il tuo regno è la storia dei missionari gesuiti nel nordest del continente, e delle lotte tra francesi e inglesi per terre ancora largamente inesplorate. Argall, ancora non tradotto in italiano, è la vera storia della nativa conosciuta con il nome di Pocahontas. I successivi volumi raccontano l’arrivo dei coloni puritani sulla costa est, le guerre di genocidio contro gli autoctoni, la ricerca del famoso “passaggio a nordovest” per raggiungere il Pacifico (nel romanzo I fucili). Per ammissione dello stesso autore, l’opera è un misto di storia documentata e fiction, e di conseguenza lo stile di scrittura oscilla tra questi due poli. La narrazione ha un vasto respiro epico, con legioni di personaggi e precisi riferimenti storici — per quanto possibile dato che la materia è così lontana nel tempo, e scarsamente documentata. Una scrittura indimenticabile.

Europe Central (2005)

«Questi racconti si fondano su fatti storici, ma con un rigore inferiore rispetto alla serie dei Seven Dreams», scrive con eccessiva modestia l’autore nella lunga nota finale, quasi 100 pagine per elencare tutte le fonti seguite per gli avvenimenti dei vari capitoli. Sì, perché malgrado Vollmann parli di racconti, questo mastodontico, prezioso volume è un romanzo senza se e senza ma, che racconta “l’incubo delle due grandi dittature totalitarie del XX secolo in guerra tra loro”. Si tratta naturalmente della Germania e dell’Urss; una vasta galleria di personaggi si alterna da una parte e dall’altra del confine; giusto per fare qualche esempio, Nadežda Krupskaja, la moglie di Lenin, e Fanja Kaplan, la donna che sparò al leader bolscevico nel ’18; il generale dell’Armata rossa Andrej Vlasov, che accettò di organizzare formazioni antibolsceviche contro Stalin; la scultrice Käthe Kollwitz, il regista sovietico Roman Karmen, Anna Achmatova, il maresciallo Friedrich Paulus, il maresciallo Vasilij Čujkov; Hilde Benjamin, soprannominata Gigliottina Rossa, inflessibile giudice della DDR; Dmitrij Šostakovič, che ritorna in diversi capitoli successivi e ha un ruolo centrale nell’opera. Gli anni di ferro e fuoco sono raccontati con un respiro amplissimo, e al tempo stesso con la claustrofobica sensazione che il mondo sia riuscito a venire fuori a fatica dalla paranoia omicida che fu la conseguenza della modernità.

Thomas Pynchon (1937- )

La definizione stessa di “letteratura postmoderna” richiama subito il nome di Thomas Pynchon, il più elusivo, originale, sottovalutato, detestato, idolatrato scrittore americano del nostro tempo. L’ultima foto ufficiale di Pynchon risale a quando frequentava l’università, quindi ai tardi anni Cinquanta (è anche allievo di Vladimir Nabokov), dopo di che scompare dalla vista del pubblico, in maniera ancora più drastica di un autore come Salinger. Oggi vive a New York, e ogni suo libro (solo nove opere in 56 anni) è atteso con incontenibile curiosità dai suoi lettori — non ultimo, chi scrive.

V. (1963)

Il romanzo d’esordio risale a così tanto tempo fa da poter essere considerato tra i testi che hanno contribuito alla nascita della letteratura postmoderna. Diviso in 17 capitoli di lunghezza variabile, e che coprono un arco temporale di oltre mezzo secolo e in tutto il mondo, racconta (in maniera molto frammentata, dispersiva e anche reticente) la ricerca di un misteriosa giovane inglese il cui nome inizia con la lettera V., ma che nel corso della narrazione si scopre essere anche l’iniziale di una serie di parole e nomi che ruotano intorno a una definizione molto libera del genere femminile: venere, vergine, vagina, vuoto. Guido Almansi, nella prefazione all’edizione Rizzoli, scrive che V. appartiene alla categoria del “romanzo enciclopedico moderno”, definizione che include “un’analisi dello sfacelo, una coscienza del collasso, una testimonianza della frammentazione, una critica radicale del concetto di verità. Se non c’è più verità nella storia e nella scienza (…) tutto diventa uguale a tutto”.

L’arcobaleno della gravità (1973)

Non è forse un caso che due tra i più interessanti scrittori americani contemporanei abbiano ambientato durante la Seconda guerra mondiale, due romanzi che sono tra le pietre miliari della loro bibliografia e della poetica postmoderna. L’arcobaleno della gravità precede di oltre trent’anni Europe Central di Vollman, entrambi testi di lunghezza inusitata, e di non semplice lettura, essenziali per capire il Novecento in Europa. L’arcobaleno del titolo è una metafora della parabola percorsa dai razzi V2 sparati su Londra dalla costa olandese; il protagonista, un capitano americano di stanza a Londra, in attesa di partecipare alla guerra di liberazione sul continente, possiede una sorta di “sesto senso” per prevedere dove cadranno i razzi bomba: in pratica, in ogni luogo dove ha avuto un appuntamento “erotico” con una giovane inglese. Per questo viene studiato dall’intelligence, e poi spedito nella Germania appena invasa alla ricerca dell’S-gerät, il razzo con matricola 00000 difeso da una compagnia di neri Herero originari della Südwestafrika tedesca. L’arcobaleno della gravità è una continua, paradossale ridda di invenzioni narrative, una foresta di personaggi e situazioni, con una forte presenza di scienza e tecnologia: un romanzo nero, divertente, interminabile, talmente lungo che voltata l’ultima pagina, già senti che ti manca qualcosa.

Contro il giorno (2006)

Il più lungo dei romanzi di Pynchon è un intreccio di storie a cavallo tra fino Ottocento e prima guerra mondiale, con personaggi che si spostano dagli Usa all’Europa e fino all’Asia centrale. All’interno c’è di tutto: anarchici dinamitardi, le proprietà della luce, meccanica quantistica, colonie veneziane sepolte nelle sabbie del Taklamakan, il movimento sindacale americano, viaggiatori provenienti dal futuro, esseri umani duplicati da specchi particolari, la rivoluzione messicana, la prima guerra mondiale, il crollo del campanile di San Marco a Venezia a causa del duello aereo di due dirigibili. Nel finale, sembra di capire che in qualche momento della narrazione il flusso del racconto si sia spostato dal nostro universo a un altro, parallelo, nel quale è possibile raggiungere il centro del pianeta attraverso un foro che parte dai poli: e forse ciò che abbiamo letto sono storie da un’Antiterra speculare. Una vasta, immensa avventura attraverso gli anni che vanno dalla seconda rivoluzione industriale alla fine della Belle Époque.

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