Questa bella antologia di Delos Digital raccoglie sette racconti lunghi apparsi nella collana Futuro present curata da Giulia Abbate e Elena Di Fazio, avviata nel 2016 e giunta ormai all’uscita n. 26. La fantascienza a sfondo sociale è la filosofia di fondo che unisce le pubblicazioni; cito da un post del blog di Studio 83, l’agenzia letteraria di Abbate e Di Fazio (che non ha però nulla a che vedere con Delos Digital):
La diversità, l’integrazione, l’immigrazione, le ingiustizie sociali, le sopraffazioni e la violenza di genere, l’ecologia, le bufale online, la guerra, la mutazione, la sicurezza, la segregazione, il terrorismo, il razzismo, l’incontro, tutti trattati in chiave narrativa con storie intense e coinvolgenti e spesso con una buona dose di ironia e umorismo.
Questi i temi privilegiati; e devo dire che i titoli apparsi finora compongono, secondo me, il miglior gruppo di testi della casa editrice milanese — e probabilmente, dell’intero panorama della fantascienza italiana contemporanea. Questa antologia, pubblicata solo in versione cartacea, non raccoglie il meglio della collana, bensì una serie di racconti con un ombrello tematico comune: il futuro dell’Italia; si legge nella prefazione:
È questo il fil rouge che lega le opere qui presenti, e vuole dare uno spaccato sull’immaginario che fantascientiste e fantascientisti del nostro paese hanno plasmato immaginando vizi e virtù del domani.
Il risultato è a mio avviso ottimo. In questo post voglio occuparmi soprattutto di un gruppo di quattro racconti rappresentativi, a mio parere, della migliore espressione della science-fiction nostrana. I primi due sono accomunati da un linguaggio positivo e estremamente chiaro, e costituiscono esempi della migliore tradizione di quella che un tempo si definiva s.f. “sociologica”. Liberi dal bisogno del cuneese Davide Dal Popolo Riolo è un racconto a tesi, che ha la forma narrativa di una quest; come si può forse intuire dal titolo, è ambientato in un futuro in cui l’automazione ha sollevato l’umanità dalla necessità del lavoro. I protagonisti vivono sotto la discreta sorveglianza di macchine, ottengono ciò che desiderano da stampanti 3D, non fanno uso di denaro: situazione ideale per immaginare un’utopia, una società del tempo libero in cui gli individui possano finalmente realizzare la propria personalità senza lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Non sembra tuttavia che a questo stato di cose si sia giunti secondo la via indicata da Marx, per il quale il proletariato, per affermarsi in maniera completa, deve giungere a abolire il lavoro: «non si tratta di liberare il lavoro, ma di abolirlo.» Un altro, importante rovesciamento rispetto alla teoria marxiana, riguarda l’alienazione dell’individuo: mentre per il filosofo tedesco “alienazione” è un termine che spiega la disumanizzazione del lavoro nell’epoca del capitalismo, che si trasferisce dal lavoro ai rapporti sociali, e fino all’essenza stessa dell’essere, in Liberi dal bisogno sembra al contrario che l’alienazione sia effetto dell’allontanamento dalle mansioni manuali — più vicino a Walter Crane e Charles Robert Ashbee che a Karl Marx quindi.
Il viaggio del protagonista da un città del Piemonte fino a Parigi permette di rivelare nel dettaglio il funzionamento pratico di questa società del futuro prossimo. Un dubbio permane nel lettore: il venir meno del lavoro come attività peculiare, artigianale/artistica, produce inevitabilmente contraccolpi nella psiche, o il racconto è costruito intorno a un caso particolare?
Omnimax II è un racconto “a tesi” di Nino Martino, genovese che oggi vive in Sardegna, tornato a scrivere fantascienza dopo quarant’anni (aveva esordito su mitiche riviste come Oltre il cielo, 1957-70, e Galaxy, 1958-64). Lo scenario è un classico della fantascienza speculativa: la disponibilità di una nuova tecnologia e l’impatto sulla società. Sono presenti, in questo racconto razionale e positivo, alcuni elementi tipici del sottogenere: (1) il carattere ambiguo dell’uso pratico di questa tecnologia; (2) un “effetto solipsismo” della tecnologia stessa, che tende a accrescere l’individualismo del singolo, ma in una maniera tale da concentrare il potere effettivo nelle mani di pochi invece che distribuirlo in maniera orizzontale; in poche parole: il disinteresse verso l’uso politico della scienza produce distopie; (3) un uso subdolo, ricattatorio della tecnologia grazie alla sua apparente vantaggiosità, mentre il pericolo reale viene percepito solo da una ristretta minoranza consapevole.
Di conseguenza, la tipologia di racconti cui appartiene Omnimax II si ascrive alla parte migliore di quel sottogenere che chiameremo “resistenziale”, nel quale un’avanguardia passa da un atteggiamento di difesa a un contrasto attivo del totalitarismo (o dell’oligarchia). Mentre tuttavia gli autori di questo filone si accontentano di un generico ribellismo su base individualista, di carattere superomistico (il modello più conosciuto è il film Matrix), Nino Martino suggerisce uno sviluppo in cui si tesse una rete di consapevolezza che può trasformarsi in una resistenza attiva, e che, soprattutto può arrivare a utilizzare la tecnologia stessa in un senso contrario alle forze che tentano di renderla universale.
Arriviamo al terzo racconto, Zero della torinese Silvia Treves, molto diverso dai precedenti: una storia misteriosa e reticente — nel senso che il punto-di-vista è rigorosamente immerso nella protagonista, e il lettore viene a sapere soltanto ciò che lei sa. Come logica conseguenza, se la protagonista non spiega a se stessa ciò che accade, per esempio perché lo sa allo perfezione, neppure il lettore può essere certo di ciò che succede. Questo escamotage stilistico si situa agli antipodi dell’aborrito infodump, cioè la spiegazione esplicita, all’interno del testo, di ciò che sta accadendo, del funzionamento di tecnologie futuribili o dei pensieri del punto-di-vista. Questa reticenza è una figura stilistica particolarmente elegante, sia perché evita di appesantire il testo, sia perché sollecita l’immaginazione attiva del lettore.
La protagonista Delia si sposta tra mondi paralleli grazie a un luogo di passaggio celato in una stazione della metropolitana. Vive la maggior parte del suo tempo nel mondo Uno, ma di questo ci viene raccontato molto poco; il fine settimana si trasferisce a Due, dove si svolge quasi per intero la narrazione, e dove la aspettano un uomo e un bambino. Non aggiungo altro per non rovinare il piacere della lettura, che per me è stato molto forte.
L’ultimo racconto che prendo in considerazione è La notte in cui tutte le donne della romana Laura Silvestri, una delle migliori prove di autori italiani che ho letto negli ultimi anni, all’altezza dei racconti di Giulia Abbate e di Elena Di Fazio (preferenza, quest’ultima, che non mi curo di occultare — ma in quanto curatrici della collana, e dell’antologia, è giusto che non si auto-pubblichino). Come quasi tutti i testi della raccolta, è un racconto positivista a tema; in più, è costruito come una geniale inversione rispetto al nostro mondo. Improvvisamente, in virtù di una non spiegata “mutazione Franklin”, tutte le donne del pianeta subiscono in una singola notte una mutazione genetica che le rende tutte ugualmente bellissime, ugualmente desiderabili. Questo fatto sconvolge progressivamente l’equilibrio di potere all’interno della società, nei modi che vengono raccontati a capitoli alterni. Una seconda linea narrativa, 280 anni dopo la mutazione, mette in scena l’inversione vera e propria, cioè la sopraffazione psicologica e sessuale di un sesso sull’altro: ma in questo caso il sesso “debole” è quello maschile, costretto in una situazione di dipendenza, una continua condizione di inferiorità di ruolo e di rapporti interpersonali.
La notte in cui tutte le donne è un racconto esemplare, dal ritmo perfetto, con una scansione del tempo drammatico da manuale, una di quelle opere che dispiace aver terminato quando arrivi all’ultimo punto.
Il volume contiene altri quattro racconti: uno molto breve di Elisa Emiliani, bonus che non è tratto dai titoli pubblicati nella collana, poi Ferruccio Andruccioli, Il tramonto dei gufi, Linda De Santi, La forma del vuoto e, infine, un racconto del sottoscritto, Saluti dal lago di Mandelbrot.