Atene

Dopo otto anni la troika se n’è andata. I governi di destra avevano truccato il bilancio statale per entrare nell’area euro, e come spesso accade è toccato a un governo di sinistra risanare. Otto anni di rigore pagato a caro prezzo: licenziamenti di dipendenti pubblici, pensioni decurtate, tagli alla sanità e al sociale, microimprenditori in rovina. E si vede, si tocca, si annusa: l’anello di quartieri intorno al centro di Atene sembra periferia estrema, con serrande chiuse, marciapiedi dissestati, edifici ricoperti di graffiti metropolitani, mendicanti, polverosi negozi di abbigliamento economico a ogni angolo. Nel quartiere di Exarhía, tra il Museo archeologico nazionale e la collina del Licabetto, i graffiti di resistenza civile sono diventati attrazione turistica: muri, serrande, scalinate, balconi, vicoli interi sono ricoperti di raffinati murali che raccontano resistenza, disagio, solidarietà. Bellezza e protesta sociale sul medesimo muro.

piazza Syntagma

Per raggiungere il centro città da Metaxourghío, il quartiere dove si trova il mio albergo economico ma pulito — aggiungerei “spartano”, se non fosse il colmo per Atene — si percorre un triangolo urbano di vie desolate, piccoli parcheggi di forma irregolare, portici pieni di cartacce, angoli macchiati d’urina, cordoli dissestati, poveri negozi di beni di piccolo consumo, sporcizia stratificata, piante polverose e esauste, antichi alberi dignitosi e indifferenti che sporgono le chiome all’altezza delle finestre.

Attraversata in direzione sud la lunga via che porta al Pireo, ecco il quartiere popolare a ridosso del grande mercato centrale: boutiques dall’apparenza appena meno dozzinale, taverne con tavolini sotto i portici, caffè pieni di gente che passa il tempo a chiacchierare, piazze irregolari con chiesette antiche come la fede riscattata dopo la dissoluzione dell’Impero ottomano, affondate a un piano più basso della strada, nascoste dietro i tronchi di grandi alberi d’ombra.

C’è un residuo ottomano nel varvakios agorá, il mercato generale centrale. La buia, sanguinolenta galleria delle carni espone il consueto campionario di animali in diversi stadi di smembramento, dietro vetrine o dentro banchi refrigerati. La hall del pesce sembra il terminale di un grande porto di mare, e ha i suoni e i colori di qualsiasi pescheria mediterranea. Tutto intorno all’edificio rettangolare, negozi a una sola porta si inseguono, affacciati su vie di traffico intenso: frutta secca, pentolame, oggetti in plastica, ferramenta, grandi contenitori di olive lucide di salamoia, torrefazioni, taverne con pochi tavoli e spillatori per birra delle marche più diffuse: Fix, Mythos, Alfa, e la Vergina prodotta a Salonicco e in Macedonia.

Più giù, appena a nord dell’asse rappresentato da odós Ermou che attraversa longitudinalmente la città antica, le sottili vie a segmento d’arco di Psirrí sono fiancheggiate da centinaia di minuscoli caffè, taverne di souvlaki con tovaglie a quadretti, take-away, pasticcerie che grondano miele, panetterie con i caratteristici kolouri a anello, locali di tendenza aperti fino a notte fonda.

Odós Ermou taglia la città da est a ovest, un retta di quasi due chilometri da piazza Syntagma fino all’antico cimitero del Ceramico, dove nell’epoca classica iniziava la Via Sacra. Se la percorri per tutta la lunghezza, iniziando dalla stazione della metropolitana di Thisío, vedi cambiare ogni cento metri la qualità dei negozi: le vetrine polverose e spaccate, i negozi di gomma o lattoneria lasciano posto prima ai rigattieri e antiquari lungo il lato di Monastiraki, il mercatino delle pulci, e poi alla zona pedonale: dalla chiesetta di Kapnikaréa in poi ecco le grandi marche, i franchising, i brand internazionali, gli hotel a più stelle, finché la via sfocia in piazza Syntagma, il cuore della città.

Lungo Dionysiou Aeropagitou

Nella parte più elevata di piazza Syntagma, a est, c’è l’edificio del Parlamento greco; la fontana centrale è circondata da giardini dove pensionati e turisti vengono a cercare il fresco in estate. Dietro il Parlamento, la vasta distesa si allarga la macchia verde dei giardini nazionali, attraversata da arterie di sentieri pedonali: una grande zona tranquilla ai margini della città antica, a ridosso del tempio di Zeus Olimpio.

Sull’altro lato invece, parallela a odós Ermou, via Mitropoleos conduce alla cattedrale metropolitana; arrivato sul sagrato, sento cantare. Entro. Quattro monaci intonano una polifonia sacra che echeggia fra le mura, un momento sospeso in questo tardo autunno mediterraneo.

La via termina nella bella piazza Monastiraki, zona di ristoranti economici, di souvlaki — famoso quello di Tanasis, centinaia di tavolini nella piazza Dimopratiriou, sotto i pergolati. Nella piazza Monastirakiou, bellissima e animatissima, sfociano le vie dei ristoranti e l’ingresso del mercato delle pulci, c’è la scenografica moschea di Tzistarakis e l’ultimo tratto di odós Adrianou: sul lato nord, una fila ininterrotta di ristorantini per turisti, affacciati sulla via selciata che a sud è chiusa dalla recinzione dell’antica Agorá. Il mercato delle pulci è davvero tale solo la domenica mattina, quando arrivano nella piccola piazza di fronte al caffè Avyssinia i rigattieri con soprammobili, dischi di vinile, libri, posate, mobiletti restaurati: gli altri giorni è un contenitore di botteghe di souvenir, abbigliamento budget, mercanzia made in China. Ci fermiamo per un bicchiere di ouzo in una taberna, e quando scopriamo che fanno musica dal vivo rimaniamo anche a cena: i soliti mezedes, mousaka al forno, verdure briami. Usciamo solo quando gli avventori finiscono di danzare al suono degli strumenti acustici. In una via parallela, dove c’è un negozio di musica di seconda mano, facciamo incetta di cd di rebetiko, la musica nata nei bassifondi delle città, e tra i greci emigrati dall’Anatolia: una musica semplice, sporca, cantata con voci rauche su ritmi danzabili. Tornati in piazza Monastiraki, siamo schiacciati dalla mole dell’Acropoli sopra di noi, illuminata lateralmente dal tramonto.

È scesa la notte, l’aria rimane calda. Poco oltre l’affollata piazza Thisiou, a due passi dal cimitero del Ceramico, ha inizio la lunga passeggiata pedonale selciata di recente del Dionysiou Aeropagitou, che gira a gomito intorno alla collina dell’Aeropago. Quando scende il buio tutta Atene viene qui a catturare qualche brandello di fresco. Ci sono venditori con piccoli banchetti smontabili e luci led  a batteria, suonatori di strada, mimi, artigiani di piccoli oggetti. Nel primo tratto della passeggiata, tutti i piani alti degli edifici su un lato della strada sono terrazze di caffè, che offrono il panorama stupefacente dell’Aeropago. Un lato opposto, una stretta valle di alberi lascia spaziare lo sguardo fino al Licabetto lontano, illuminato d’oro nel buio della notte.

Più avanti ci sono famiglie a passeggio con bambini piccoli, coppie che entrano ed escono dai sentieri lastricati che attraversano il bosco, gelati in mano, con musica rebetika suonata dal vivo che si spande nell’aria immobile. La via è in leggera salita fino al punto in cui si piega a gomito, e prosegue verso est. Sentieri lastricati si arrampicano dolcemente sulla collina della Pnice, da lassù si gode una vista privilegiata sull’Aeropago, con l’Acropoli tutta illuminata. Dalla parte opposta, teoria pavimentate si intrecciano come fili di gomitoli verso l’Odeon di Erode Attico, dove stasera c’è uno spettacolo. Uomini e donne ben vestiti salgono gli scalini della debole luce orizzontale, accolti da ragazzi che allungano con la mano volantini pubblicitari della vivace scena ateniese. Proseguiamo tra gli alberi, paralleli alla via, sotto la roccia dell’Acropoli, poi torniamo giù di fianco al teatro di Dioniso. La passeggiata scende dolcemente; alziamo gli occhi, il Partenone è illuminato. Passiamo davanti al meraviglioso museo dell’Acropoli, dove sono custoditi tutti i reperti archeologici, compreso ciò che è rimasto dello straordinario frontone del Partenone dopo i bombardamenti veneziani e le rapine inglesi.

La passeggiata prosegue ancora fino al tempio di Zeus Olimpio, ma nell’ultimo tratto è più suggestivo voltare a sinistra e infiltrarsi nei vicoli della Pláka, il quartiere vecchio stretto tra l’Aeropago e i giardini nazionali: un’isola di vie strette e case bianche, con una lebbra di ristorantini, tra piccole piazze dove il verde è soffocato dai dehors, chiesette chiuse, negozi di souvenir, cortili bui, pallide luci gialle.

E come ogni volta, Atene si avvia verso una nuova notte tiepida, nel silenzio del mondo, il viale del tramonto di quella che fu la culla della civiltà occidentale.

La Stoà di re Attalo

 

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