Fantapolitica: l’Italia della Guerra Civile

di CLAUDIA GAUDENZI

Nella produzione narrativa di Ricciardiello vi sono una serie di ipotesi ucroniche di fantapolitica, concretizzate in narrazioni in versione cartacea o telematica. Il racconto Torino, uscito nella raccolta “Millelire” per i tipi di Stampa Alternativa nel 1995, può essere messo a confronto col racconto Dall’Altra Parte di Umberto Rossi:[1] in entrambi vi è descritto un diverso corso delle vicende storico-politiche italiane della seconda metà del Novecento.

Si rende evidente subito la differenza fra i due modelli seguiti: il primo è un’ucronia dispiegata, il secondo è un’ucronia situata in un universo parallelo.

Il racconto di Ricciardiello descrive una Torino ucronica degli anni Sessanta, occupata dai rivoluzionari sessantottini, bombardata, ferita e finalmente liberata dal giogo delle forze della reazione e del Regime fascista mai storicamente tramontato, mescolando finzione e realtà, con personaggi famosi in primo piano, come Cesare Pavese e Galeazzo Ciano, che si affacciano dalle pagine della macrostoria per ricoprire ruoli di “cameo”.

In Torino non è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale e ciò ha permesso la sopravvivenza del regime, egemonizzato da Galeazzo Ciano, e la chiusura autarchica e dispotica del paese entro i propri confini ha provocato l’ostilità degli stati liberal-democratici europei e mediterranei – incluso un Egitto ricco e tecnologicamente avanzato – scatenandone la reazione politica e militare.

Il fronte antifascista interno, organizzato in una struttura combattente clandestina, alimentato dal dissenso del popolo e rafforzato dal supporto degli Alleati, possiede il controllo territoriale di alcune zone del Nord, compresa la città piemontese “coventrizzata” (cioè quasi rasa al suolo da un bombardamento a tappeto) dall’aviazione egiziana, nella quale si apre il racconto.

Miguel Membreño ( El Salvador), “Dopo”

Il protagonista è Edo Bertinetti, un militante clandestino “rivoluzionario” che con la sua compagna lotta per la liberazione del paese dalle forze della reazione, capitanate dalla monarchia sabauda. Il suo percorso esistenziale da studente ad attivista nella lotta armata viene narrato attraverso una serie di flash-backs, a cominciare da una festa universitaria, a cui era presente Cesare Pavese, sopravvissuto al suo tentativo di suicidio:

La festa era in uno dei caffè di Vanchiglia, fra l’università e il Po: al piano superiore, in cima a una scala di legno tarlato, una quarantina di universitari fumavano e facevano musica sotto festoni di carta colorata, discutendo di filosofia e di rock’n’roll. Eravamo stati invitati anche io ed Enrichetta, sposi da pochi mesi, malgrado avessimo abbandonato gli studi da oltre un anno.[…] L’attenzione di quasi tutti gli altri giovani era concentrata su Cesare Pavese, invitato alla festa per la sua amicizia con uno degli organizzatori. Anch’io l’avevo conosciuto personalmente prima che diventasse famoso, ma quel giorno non mi avvicinai a salutarlo perché temevo non si ricordasse di me. Dopo che si era sparato quel colpo alla tempia nel ‘50, dopo quei quarantadue giorni di coma, non era più lo stesso: non aveva mai più posato le dita sulla tastiera di un PC per scrivere anche una sola parola. […] Pavese recitava per i suoi ascoltatori le note di copertina dei dischi americani che a quel tempo il regime ancora non aveva proibito.

La progressione verso il coinvolgimento politico attivo è piuttosto rapida: dopo un primo arresto e l’espulsione dall’università, era stato arrestato nuovamente con il pretesto di un presunto coinvolgimento nell’attentato contro un alto gerarca, nuovamente arrestato e torturato:

Il vento idiota soffiava su Torino vigliacca, anestetizzata dall’estate precoce del ‘63. Soffiava sulla vela del mio destino, gonfiandola, fino a quando il Pretore non ordinava per la seconda volta il mio arresto, questa volta con una imputazione gravissima: coinvolgimento nell’attentato dinamitardo di via Cernaia che era costato la vita al sottosegretario agli Interni, mancando per una frazione di secondo di colpire Galeazzo Ciano.

Il secondo arresto gli aveva comportato il decreto di espulsione dal paese. Il ricongiungimento tra il filo narrativo del passato e quello del presente è piuttosto rapido: appena giunto in Siria Edo era stato reclutato nell’esercito di liberazione da Costanza Gremmo, il comandante della sua compagnia all’incipit del racconto. La brigata della Gremmo in cui milita anche Edo, prende in consegna un importante prigioniero catturato durante un blitz, che si rivela essere Galeazzo Ciano in persona, il capo del governo italiano e delfino del Duce:

“Merda” dissi fra i denti. Era davvero Galeazzo Ciano: sembrava più basso e più anziano che in televisione, forse a causa della barba brizzolata.

Dopo il tentativo di consegnarlo a «un’unità meccanizzata dell’esercito francese, intervenuto sotto la bandiera ONU per punire l’Italia invasore in Svizzera», posizionata «a una cinquantina di metri dal guado di barche che attraversava la Stura», fallito a causa dell’intervento di due elicotteri dell’esercito fascista, la situazione precipita. La sorte del prigioniero è segnata:

 “Cosa vuoi fare?” domandai. Ci aveva condotto lungo la statale per Chivasso, qualche chilometro fuori città, in aperta campagna. Non c’era il minimo movimento sulla pianura abbandonata.
“Ho ordini precisi” rispose Costanza “aspettatemi qui, accompagnerò io il prigioniero.”

Edo non riesce a trattenere la sua frustrazione all’idea di non potersi vendicare personalmente di tutti i torti subiti, dalla sua famiglia e dalla sua città:

[…] Li guardai allontanarsi dietro la lente deformante delle lacrime. […]Sentii montare un groppo in gola. “Costanzaaa!” strillai con i muscoli della gola ridotti a un cordone. “Devo farlo io! Era compito mio!” […]Si voltò di traverso, un attimo, il profilo del mitragliatore stagliato sopra l’orizzonte basso, ma Galeazzo Ciano proseguiva verso gli alberi e lei lo seguì. Scomparvero. […]Pensai ai morti di Torino coventrizzata. Pensai ai soldati di leva bruciati vivi nei carri armati in Canton Ticino. Pensai ai marinai annegati nelle cacciatorpediniere silurate dall’Onu nel Tirreno. Pensai ai comunisti bastonati a sangue nelle galere. Udimmo sparare, una breve raffica e poi un’altra. Urlai di disperazione. Le guardie rosse si mossero lentamente verso la macchia, andando incontro a Costanza Gremmo che tornava già indietro.

Miguel Membreño, “Dopo”

In Dall’altra parte di Umberto Rossi vi è l’incrocio tra due universi paralleli, il primo dei quali è la nostra realtà, nella quale si incontrano due ex compagni del servizio di leva che rievocano la loro prima esperienza nel mondo “altro”, provocata da un loro commilitone, un ragazzo border-line in grado di varcare il limite fra i due mondi. Si può parlare in questo caso di una distopia entro l’ucronia per cui l’Italia è in balia di una sanguinosa guerra civile tra le forze che hanno combattuto nella Seconda Guerra Mondiale: da una parte i rivoluzionari di sinistra, sostenuti dall’Unione Sovietica, dall’altra i conservatori ed i moderati cattolici aiutati dagli Americani e dagli Alleati del blocco anti-comunista.

In un mattino freddo e nevoso, durante un’esercitazione su un monte vicino a Tivoli, il battaglione aveva smarrito l’orientamento e si era fermato in una radura in mezzo al bosco, che all’improvviso era stata circondata da una fitta nebbia. Il ragazzo, un solitario isolato dagli altri perché considerato “bizzarro” aveva proposto al caposquadra di andare in avanscoperta. Era tornato poco dopo scarmigliato ed insanguinato, senza il compagno. Nella concitazione dovuta allo shock, aveva raccontato agli altri di essere penetrato in una strana zona del bosco, nella quale era in corso una battaglia, in cui aveva perso la vita un loro compagno:

Aldo gli va incontro. Corre da lui prima degli altri, lo scrolla. – Che è successo?
– Hanno ammazzato Di Majo. Gliel’avevo detto che non erano i no– nostri. Glie l’avevo detto. Non mi ha voluto sentire. Cretino! – Ma chi l’ha ammazzato? – chiede Aldo, mentre gli altri si radunano attorno a loro.
– Soldati.
Fodale li raggiunge anche lui e porge a Giovanni la fiaschetta con quel che resta del whisky; quello se la scola in un solo sorso. – Ma che soldati? – chiede Lechiancole, visibilmente scosso. – Italiani. Come noi. Ma non sono dell’Esercito. Non di que­sto e– esercito. Un altro. Lì è tutto diverso…
– Lì dove? – chiede Giacomo.
– Dall’altra pa– parte. Non so come spiegare. – Ma Di Majo dov’è?
– È rimasto lì. Mica me lo potevo po– portare dietro. A momen­ti accoppavano anche me.
– Ma chi?
– Quelli! I soldati, cazzo! Lì c’è la gu– guerra.

Altri ragazzi, tra cui i protagonisti del racconto, avevano deciso di tornare sul posto per verificare lo strano racconto, ed erano stati catapultati in un viaggio allucinato entro un mondo con le stesse coordinate spaziali, in cui però la storia era completamente stravolta. L’Italia ancora negli anni Ottanta era in balia di un sanguinoso conflitto civile:

– Sono anni che li vedo, – fa, – all’inizio erano sogni, una volta ogni due o tre mesi. Poi sono diventati più frequenti. Erano così re– realistici, così dettagliati, ne facevo ogni settimana, poi ogni notte. Mi lasciavano spossato, come se invece di dormire avessi corso per ore.
– Sogni… di che? – chiede Fodale, sempre più scombussolato – Sono soldati. Italiani. Combattono su queste montagne con­tro altri italiani. È una gu – guerra civile. Non c’è pietà; non fanno prigionieri. Torturano, uccidono. C’è stata la rivoluzione, nell’Ot­tanta. I co – comunisti, le Brigate Rosse, non si capisce. Ma non è andato tutto bene. Al nord la NATO ha soffocato la rivolta. Hanno massacrato tutti. O qualcosa del genere. E poi sono scesi verso il centro per riprendere Roma. E questi si difendono con le unghie e con i denti. I russi gli passano armi, soldi, vi – viveri. Gli americani aiutano quelli del nord.           

E i giovani soldati di leva, che si stanno allenando alla guerra in un paese in pace, all’improvviso si trovano catapultati nella guerra vera. E quella realtà, è la concretizzazione del peggior incubo:

[…] Un tempo fuori tempo. Continuano comunque a camminare, ma più lentamente, guar­dandosi attorno; Giovanni è attento, Aldo e Fodale attoniti. Ci sono dei fagotti scuri per terra. Di colori terrosi, verde, mar­rone. Avvicinandosi non sono fagotti: sono corpi. Morti. Martoriati da ferite d’arma da fuoco, straziati. Decine, ce ne sono. Buttati a terra, fucili automatici. Non dei FAL, sono altra roba, più moderna. Tra l’erba incongruamente verde, il giallo dei bos­soli d’ottone. A un certo punto arrivano a una specie di fossato. È una trincea dalle pareti di cemento armato, scavata su quel pia­noro, piena di corpi strappati, massacrati.

Il ragazzo è poi ricomparso altre volte nelle loro vite per accompagnarli nel “mondo altro”: nella seconda parte del racconto è l’altro interlocutore che ricorda il viaggiatore fra le dimensioni in un successivo incontro, durante un altro balzo temporale, quando, dall’altra “parte”, la situazione si è evoluta:

– Vai avanti. – Gli dico che è il 1988. Lui era stupito. Mi dice che quando se n’era andato era il 1986. Non riusciva a raccapezzarsi col fatto che erano passati due anni. Gli chiedo se aveva fatto un viaggio. Lui ride, mi guarda come un matto, mi dice “ma certo, un bel viag­gio… nel tempo”.[…] – Allora… eravamo in quella piazza che è bella grande, hai pre­sente? Era tutta piena di gente. Piena, completamente. Si vedeva solo l’obelisco al centro, intorno una distesa di teste, bandiere rosse e braccia. Piazza del Popolo traboccava di folla che s’era radunata a festeggiare, al grido di “viva la rivoluzione”. Non ci volevo credere, ma quello gridavano. Di colpo mi pareva di esse­re tornato al Sessantotto. Io c’ero stato, alla Statale di Milano, avevo fatto cortei, occupazioni, tutto. Poi la vita m’aveva portato a fare altre cose. L’Italia era cambiata. Ma quella sera ero tornato lì. mi pareva di avere di nuovo vent’anni. Stavo lì, tra spintoni, gente che correva, che saltava. Sembravano tutti scemi, e forse lo erano, la felicità è una forma di follia. Sparavano in aria, colpi singoli, a raffica. […]

Nell’epilogo le due dimensioni cominciano a fondersi, ed è quella di partenza che inizia a mostrare la medesima ambigua, fino a quando i due protagonisti si trovano intrappolati nella realtà alternativa perché la loro realtà originaria si è progressivamente sgretolata, fino ad annullarsi:

Ormai ha vinto. Alla fine ci ha trascinati dalla sua parte della storia, in questo mondo incomprensibile e terribile. E in cuor nostro dobbiamo riconoscere che lo sapevamo, l’avevamo sempre saputo, era solo questione di tempo. Che il mondo di là, colla sua Seconda Repubblica, coi suoi Poli e i suoi ulivi, con il Grande Fratello e i piccoli sciacalli, i suoi miracoli televisivi e le sue mignotte per l’audience, non poteva non essere di cartapesta, una telenovela da quattro soldi, fiction televisiva scadente con attori di mezza tacca.
Il mondo vero era questo: la ferocia, la morte, l’odio, la distruzio­ne. Giovanni ci aveva aperto gli occhi allora, noi avevamo prefe­rito richiuderli. Ma è arrivata la sveglia.
Adesso siamo dall’altra parte, e ci resteremo.

Ciò che emerge, vivida, nei testi, è la capacità degli autori di materializzare narrativamente un’ipotesi socio-politica e di collocarla nel tempo storico: in entrambi l’Italia è preda di una guerra civile tra blocchi nazionali e ideologici, che, in un diverso corso temporale, non hanno trovato una conciliazione.

Miguel Membreño, “Dopo”

In questo ambito si collocano le analogie nei racconti: il disordine generale, l’annichilimento delle strutture civili e di quelle materiali, la prassi della sopraffazione e della violenza.

Ciò che cambia sembra essere la diversa intenzionalità degli autori: per Ricciardiello si tratta di un’operazione demiurgica, il lavoro speculativo su una possibilità storica, laddove la cura per la coerenza degli elementi costituenti la sua Italia alternativa caratterizza il suo gusto creativo: ogni dettaglio della Torino “coventrizzata”, della vicenda dei protagonisti, delle forze in campo, si inserisce in un quadro di plausibilità, così, come, in subordine, la ricerca dello stile, della forma adatta al contenuto.

Quello di Rossi invece è un racconto a tesi, che inserisce la storia alternativa in un universo parallelo per poi poterla far “collidere” con quella reale, con un chiaro intento analitico verso lo status quo del nostro corso temporale, poiché, offrendone una variante, se ne possono evidenziare meglio le positività e anche le aporie. L’autore, seppur orientato verso una decisa visione negativa dell’Italia della guerra civile, lascia al lettore il giudizio finale.

© Claudia Gaudenzi

Il presente post è un estratto della tesi di laurea nel 2007 di Claudia Gaudenzi all’Università di Bologna: “Un percorso nella fantascienza italiana: la manipolazione del tempo”

Illustrazioni © Miguel Membreño, San Salvador

[1] U. Rossi, Dall’altra parte, in Speciale Carmilla. Il futuro nel sangue.19 fantapologhi sul Potere a cura di Vittorio Catani, Modena, R & D, 2003.

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