di JACQUELINE SPACCINI
docente di italiano all’università di Caen
Il presente post è tratto da un capitolo di:
Jacqueline Spaccini
Sotto la protezione di Artemide Diana. L’elemento pittorico nella narrativa italiana contemporanea
ed. Rubbettino 2008
ISBN 9788849822564
Ai margini del Caos è un romanzo pubblicato per i tipi Urania Mondadori nel 1998 e successivamente tradotto in varie lingue. L’azione si sviluppa tra Basilea e Torino: la prima scena si apre sul Kunstmuseum della città svizzera, ove si conserva Die Insel der Toten (L’Isola dei morti, 1880), il quadro di Arnold Böcklin che è al centro del romanzo. Torino è la città dei due protagonisti, Leonida (detto Nico) e Vittoria (detta Vic).
La storia si svolge alla fine degli ani Novanta, in un contesto apparentemente radical-chic: Nico (Leonida Cassino) è, tra l’altro, paroliere di canzoni protestatarie, traduttore, sceneggiatore di documentari storici, redattore di «consegne» enciclopediche, autore di fiction televisive; Vic (Vittoria Rossa Altieri) è la moglie di Werther Bindi, professore universitario, studioso della Germania nazista. Altri personaggi sono: Antonio, che lavora presso un imprecisato ospedale, ma che ha superato un esame sulla caduta del terzo Reich all’università di Berlino; sua moglie Christa che crea software collegati all’analisi della Storia; Fabiana, Roberto, Skif e Dani che fanno parte degli Hasta Siempre, gruppo musicale dub[i]; Wendy che è una borsista universitaria, e così via.
Per quasi tutto il romanzo, lo stile tipico della fantascienza, pura e dura, è assente: una giovane donna (Vic) sviene dinanzi a un quadro di Böcklin, nel muso di Basilea: un giovanotto (Nico) che si trova per caso vicino a lei, la soccorre.
Tutto è detto nella quarta di copertina che annuncia:
A Basilea una giovane donna viene colta da malore davanti a un quadro dalla lunga storia: L’Isola dei Morti¸ di Arnold Böcklin. Sembra un malessere passeggero, ma forse è qualcosa di più misterioso e agghiacciate. Qual è l’enigma del quadro?[ii]
Il personaggio di Vic è — psichicamente — «entrato» nel quadro di Böcklin, prima di perdere conoscenza, come accade ad alcuni visitatori di musei vittime della sindrome di Stendhal:
Raccontami cosa è successo esattamente. […] Avevi gli occhi sbarrati,vitrei. Ti ho osservata meglio […] Sembravi sudata, con la frangia incollata alla fronte, avevi le labbra appena un po’ aperte e ti tremavano i denti[…] Quanti minuti sono rimasta così? Non saprei dire, forse un quarto d’ora.
Nico, il protagonista maschile, continua per tutto il romanzo a optare per l’ipotesi d’una manifestazione della sindrome di Stendhal cui strenuamente si oppone Vic. «Hai detto che ti è sembrato come di entrare nel quadro?», chiede lui. «Scherzi?» gli risponde lei piccata. E più avanti, lui insinua: «Hai parlato di una specie di immersione empatica»; «Ma cosa hai capito? […] Sono al terzo mese di gravidanza», ribatte lei. Nico continua a parlare di «trance di fronte ai capolavori della pittura antica», vale a dire di una confusione provocata dalla visione di un’opera d’arte che dissotterra ricordi rimossi e suscita una serie di reazioni fisiche: traspirazione, tachicardia e contrazioni dello stomaco. Ma Vic replica una volta per tutte: «Non è sindrome di Stendhal».
Ma precisamente in che cosa consiste la suddetta sindrome? La psichiatra italiana Graziella Magherini ha affrontato il tema scientificamente nel 1989.
L’inconscio rimosso — ridestatosi — si manifesta secondo le ricerche della psichiatra italiana con almeno una delle tre seguenti reazioni: 1) turbe del pensiero, succedute da una devianza della percezione e dell’analisi della realtà; 2) disordine delle sensazioni, spesso seguito da 3) crisi di panico e angosce somatizzate.
Il personaggio di Vic sembrerebbe manifestare tutti e tre i sintomi. Vomita, perde i sensi, strabuzza gli occhi, entra in transe[iii], vive esperienze surreali — o meglio, situate nel passato —, crede di essere Albert Speer, l’architetto del Terzo Reich, poi Fegelein, il maresciallo nazista. Altre transe si succederanno: dopo Basilea, a New York, infine a Lipsia. Nico ne inferisce che «il perturbante è la visione dell’Isola dei Morti […]; la causa scatenante è il suo [di Vic] vissuto interiore, l’infanzia, la psicopatologia individuale che irrompe oltre le naturali barriere dell’Io». L’ultimo malessere di Vic non avrà però luogo in un museo — tant’è che a Berlino, dinanzi all’ennesima variazione sul tema di Böcklin, non succede nulla —, bensì laddove il corpo senza vita di Hitler sarebbe stato seppellito (a lungo si ritenne fosse quello di un sosia). Il che smentirebbe definitivamente Nico e la sua idea che Vic sia vittima della Sindrome di Stendhal:
Partivamo dal presupposto che fosse la visione del quadro a scatenare la tua ‘ricettività mentale’. Ora temo che dobbiamo ricrederci. Sembra piuttosto che i luoghi fisici di quegli eventi abbiano lo stesso potere. Anzi, è come se abbiano assunto loro questo potere, togliendolo al quadro. […] Non era il quadro a possedere quel potere. Oppure…
Oppure, delle due l’una: o la versione dell’Isola dei Morti esposta a Berlino non è un quadro di Böcklin o la sindrome di Stendhal non ha nulla a che vedere con gli svenimenti della protagonista. Ma se si optasse per la seconda ipotesi, come spiegare quel che le accade, i suoi ritorni nel passato o le identificazioni con gli aguzzini nazisti?
È a questo punto che fa il suo ingresso la teoria del Caos.
Margine del caos è la transizione dallo stato solido a quello fluido. Margine del caos è la transizione da un sistema di governo a un altro. È 0opssibile che margine del caos sia anche la transizione dalla coscienza a un altro stato differente, nel momento in cui si osserva il particolare di un dipinto che favorisce uno stato di transe?
Nico fa sua una teoria scientifica che non gli appartiene: essa è ipotizzata da Werther Bindi, il marito di Vic, che la formula, in un contesto scientifico, in un’opera universitaria, dal titolo Nascita del Nazionalsocialismo in Germania. Ipotesi d’applicazione della Teoria del Caos alla storiografia:
Margine del caos è la temperatura in cui lo stato liquido della materia si trasforma in stato gassoso. Margine del caos è la formazione dei primi amminoacidi nel brodo primordiale, la nascita della vita nei mari della Terra. Margine del caos è il crollo della borsa di New York City nel 1929. Margine del caos è il 1989, la caduta del Muro di Berlino, il crollo dei Paesi del socialismo reale. Margine del caos è anche l’instabilità politica che precedette il passaggio dalla Repubblica di Weimar al nazionalsocialismo. […] [in Germania, il Caos] può essere individuato nel periodo fra il 1935 (le leggi antisemite di Norimberga) e il 1943 (la sconfitta di Stalingrado). È in questo periodo che l’irrazionalità dominante nella società tedesca trasforma la nazione in un coacervo di Stato e Partito: una con-fusione più che una fusione come era avvenuto negli anni Venti in Unione Sovietica.
Franco Ricciardiello ha poi asserito che «l’intera struttura profonda di Ai margini del Caos è costruita sui principi della matematica del caos […] . Si tratta di una teoria scientifica rigorosa che sta cambiando la storia non solo della scienza, ma del pensiero umano»[iv]. Non dice oltre, se non che la struttura del suo romanzo è fondata su una metodologia scientifica.
In realtà, le sue considerazioni sulla contiguità dell’arte con la fantascienza sono di gran lunga più interessanti:
Trovo che l’arte sia un interessantissimo campo di speculazione, sul quale purtroppo gli autori di SF si sono raramente soffermati: siccome la science fiction è la metafora epistemologica per eccellenza, scrivere di espressioni artistiche è stato a lungo considerato poco conveniente. […] L’Arte ha conquistato un proprio statuto autonomo nella sf solo con il cyberpunk, cioè con il post-moderno della fantascienza.[v]
Quanto alla teoria del Caos (oggi: teoria della complessità) che l’autore menziona a ogni piè sospinto nel corso del romanzo, convocando contemporaneamente scienza e principi matematici, in realtà essa somiglia piuttosto alle teorie che Philip K. Dick avanzava nei suoi romanzi.
Tornando alla teoria del Caos, secondo quella elaborata dal matematico Benoît Mandelbrot, riadattata al campo della fantascienza, il personaggio di Vic è incaricato di interagire con questa realtà altra: la giovane donna si cala nella personalità dei capi nazisti che vissero le loro ultime ore di vita in compagnia di Adolf Hitler.
All’inizio, il déclic narrativo — quel che Georges Perec chiamava l’embrayeur de démarrage — è unicamente il quadro di Böcklin (a Basilea, Berlino e a Lipsia); in seguito, la stessa esperienza di svenimento/identificazione si ripete sul luogo ove furono seppelliti i cadaveri bruciati del Führer e dei suoi fedelissimi; infine, nel Cimitero degli Inglesi, davanti alla tomba del pittore svizzero. Prima che sia troppo tardi, Nico decide di distruggere il cenotafio di Böcklin per impedire a Vic di passare irrimediabilmente nell’altra realtà e, ciò facendo, la salva.
Dunque, i legami che esistono tra il quadro di Böcklin e gli eventi storici della fine del Terzo Reich che la protagonista rivive nelle sue transe, sarebbero determinati dalla teoria del Caos. Ma non è così, giacché è nel quadro dell’elvetico che si struttura il romanzo: tutto si fa comprensibile allorquando Nico apprende — verità diegetica, evidentemente — che Hitler dette istruzione d’essere avvolto, alla sua morte, nel dipinto di Böcklin. È come se Hitler fosse interrato nell’Isola dei morti.
Se l’isola raffigurata nel quadro altro non è che il cimitero di Fiesole ove riposa Böcklin, il suo sepolcro costituisce la porta d’accesso al sovrannaturale. Superata la soglia, sarà impossibile tornare alla sola realtà che gli umani conoscono. E allora bisogna distruggerla a colpi di piccone.
In un giallo come questo che non ha né assassini né assassinati ma che del genere ha le tecniche investigative e la soluzione finale, la teoria del Caos ha funzionato da escamotage, L’Isola dei Morti da stratagemma.
© 2008, Jacqueline Spaccini
Tutte le illustrazioni del post: © Florian Aupetit, Madrid
[i] Termine anglosassone con il quale si indica uno stile musicale nato dal reggae e basato sulla manipolazione elettronica degli strumenti (con l’uso anche di collages di pezzi musicali altrui) con testi politici o sociali dichiaratamente di protesta.
[ii] F. Ricciardiello, Ai margini del Caos, Milano, Mondadori, 1998, IV di copertina
[iii] A differenza dell’autore, che utilizza il termine inglese trance, noi preferiamo adoperare transe («trapasso»): poiché si tratta di scegliere tra due termini stranieri, preferiamo quello di origine (francese), in seguito anglicizzato.
[iv] Intervista all’autore, nella postfazione de: Ai margini del Caos, cit., p. 234.
[v] Ivi, pp. 233-234