Shanghai 2012

Terza tappa di un viaggio in Cina, 2012

A metà mattina di giovedì prendiamo un treno veloce classe G per Shànghăi, percorrenza 45 minuti, e poi un taxi dalla stazione ferroviaria principale al nostro albergo, l’ostello della gioventù Le Tour nella zona del tempio Jìng’ān; l’ingresso di apre su un vicolo laterale (lĭlòng) al 319 di Jāozhōu Lù. Si tratta di una zona residenziale e di passaggio, tra l’ex Concessione francese e la Stazione ferroviaria, piena di ristoranti economici e negozi di vicinato. Shànghăi è la nuova frontiera della Cina in violenta espansione economica. Con i suoi 23 milioni di abitanti, oltre il doppio della capitale Bĕijīng, potrebbe essere la città più grande del mondo; questa cittadina di provincia comincia a svilupparsi a metà Ottocento, quando gli inglesi vi aprono una Concessione, forse nel tentativo di penetrare la Cina con il modello messo in pratica nel subcontinente indiano. Seguono i francesi e poi anche gli americani, in seguito italiani e giapponesi, al punto che Shànghăi diventa il primo porto commerciale dell’Impero; vi si esportano seta e tè e si importa oppio destinato al mercato interno. Buona parte della città è costruita da architetti occidentali, e questo si vede non solo nella Concessione francese ma soprattutto nel Bund, il lungofiume che è il cuore della città storica. Agli interessi finanziari seguono a ruota quelli della malavita. Qui, nella prima città operaia della Cina, la repressione contro i comunisti dopo il colpo di stato nazionalista del 1927 è feroce: il Guómíndăng si avvale non solo della collaborazione militare delle potenze straniere, ma anche della manovalanza delle Triadi contro le organizzazioni operaie (il PCC è stato fondato proprio qui nel 1921).

Dopo la vittoria comunista e la riunificazione nazionale nel 1949, Shànghăi si trasforma da capitale dell’oppio in una metropoli industriale. Da qui hanno inizio le prime mosse della Rivoluzione cultuale di Jiāng Qīng, la moglie di Mao, nel 1966: per un breve tempo vi si fonda addirittura una Comune che dovrebbe, nelle intenzioni dei radicali, richiamarsi a quella soffocata nel sangue nel ‘27. Al termine della funesta Rivoluzione culturale, quando la nuova dirigenza decide di aprirsi allo sviluppo economico, Shànghăi guida l’espansione della Cina: la nuova ZES di Pŭdōng è oggi il simbolo evidente del dinamismo del gigante asiatico.

Quasi subito usciamo dall’ostello per raggiungere a piedi prima il tempio Jìng’ān, in costante ristrutturazione (lo sfavillante esterno offre un contrasto fotogenico con gli alti grattacieli che lo circondano), poi l’ex Concessione francese: questa è la vasta zona che la Francia coloniale si era accaparrata nel cuore della metropoli, a causa della debolezza politica dell’Impero che rischiava di essere smembrato tra le potenze europee e il Giappone. Chi pensa a Shànghăi come alla Parigi d’oriente, immagina film d’epoca e romanzi ambientati qui nella Concessione francese, il quartiere delle villette a uno o due piani, dei lunghi viali alberati, della mafia delle Triadi; la Huáihăi Lù, la via centrale che attraversa da est a ovest il quartiere, è fiancheggiata di negozi di tendenza e gremita di gente a passeggio. Molti locali sono in stile occidentale, e i prezzi si adeguano: abbiamo speso più qui per un caffè e una fetta di torta che nella maggior parte della Cina per un pasto completo di più portate. A sudest della Concessione si trova Tiánzĭfáng, la nuova zona dello shopping economico e romantico: un intero isolato perforato in tutti i sensi da lòngtáng (stretti vicoli pedonali) gremiti di bancarelle di souvenir e negozi di oggettini artigianali, piccole gallerie d’artisti, caffè lontani mille miglia dagli sfavillanti empori commerciali della centralissima Nánjīng Dōnglù. Da notare che il quartiere è comunque ancora abitato.

Arriviamo al Bund la sera, quando già comincia a calare il sole. Mentre ci avviciniamo a piedi lungo il torrente Sūzhōu, distinguiamo le luci dei grattacieli di Pŭdōng. Il Bund è il simbolo della vecchia Shànghăi degli anni Trenta: in origine era un terrapieno costruito come argine del fiume Huángpŭ, dall’alto del quale si potevano trainare le chiatte, poi su questo lungofiume le società commerciali europee cominciano a costruire la Dogana e le sedi di banche e imprese, più l’esclusivo Shànghăi Club, e il Bund (dallo slang angloindiano band, ‘lungofiume fangoso’) diventa il simbolo della città. Oggi la via (il cui nome ufficiale è Zhōngshān  lù) rappresenta il luogo ideale per una lunga passeggiata in riva al fiume, con vista sulla straordinaria skyline di Pŭdōng. A est corre la promenade, un terrapieno sopraelevato, a ovest sorgono gli edifici: il consolato russo, gli hotel di lusso, l’Union Church, sedi di giornali e di banche, centri commerciali esclusivi, la vecchia Dogana, il Club. Di fronte, dall’altra parte del fiume, Pŭdōng è una fantastica città proiettata verso il futuro. Fino al 1990 era una striscia di terra tra Shànghăi e il mare, scarsamente urbanizzata: poche case basse, paludi, terreni coltivati. Quando la Cina di Dèng Xiăopíng decide di aprirsi a uno sviluppo commerciale di tipo capitalista, questa è una delle aree scelte per diventare una ZES,- Zona economica speciale: dal 1990 cambia profondamente, e nel distretto di Lùjiāzŭi (dall’altra parte del fiume rispetto al Bund) sorge improvvisamente una foresta di grattacieli, tra i più alti della Cina e, in alcuni casi, del mondo.

Una vera folla passeggia in entrambi i sensi sulla promenade sopraelevata, mentre la temperatura cala lentamente. Diverse coppie di sposi si sottopongono al rito delle foto di matrimonio con le luci dei grattacieli sullo sfondo. Una statua di Máo Zédōng volge sdegnosamente le spalle a Pŭdōng.

Il mattino successivo raggiungiamo in metro piazza Rénmín che si potrebbe considerare il centro geografico di Shànghăi. La parte settentrionale della piazza, a emisfero, è occupata dal bellissimo Parco del popolo, che ospita laghetti, ponti, cascate, rocce, vecchi alberi e prati fioriti, e una quantità di pensionati (merce rara in questo paese che sembra giovanissimo). Nella metà meridionale, oltre una distesa di aiuole fiorite, si trova lo straordinario Museo di Shànghăi, a accesso gratuito. Allestito in maniera superba, con giochi di luce e ombra che valorizzano i reperti più preziosi, presenta collezioni di bronzi preistorici, ceramiche, monete, costumi etnici delle minoranze nazionali, una raccolta di meravigliose calligrafie e acquarelli di paesaggi, oggetti di giada di tutte le dimensioni e molto altro. Ci trascorriamo tutta la mattinata e fino a metà pomeriggio, poi di nuovo una passeggiata sul Bund, dalla parte degli edifici, perché sulla promenade la temperatura è più bassa a causa del vento.

Il mattino successivo raggiungiamo a piedi il vicino Tempio del Buddha di giada. Il cortile principale è affollato di fedeli con fasci di incenso; ai rami di un albero pendono strisce votive rosse. Il Buddha di giada si trova in un locale al primo piano, è una statua alta due metri chiusa in una teca.

Il resto della giornata è dedicato alla visita della Città Vecchia, alcuni isolati di case tradizionali trasformate in un fantasmagorico bazar di ristorantini, sale da tè, negozietti stretti intorno al Giardino del Mandarino Yù. Gustiamo squisiti ravioli ripieni al vapore in un locale di fianco alla famosa casa da tè Húxīntíng, il proprietario si stupisce che vogliamo mangiare cinese. Le vie sono invase da turisti, è difficile camminare: le abitazioni sono tutte ristrutturate, hanno tegole grigie e colonne laccate di rosso scuro. Visitiamo il Tempio del Dio della città, dove si trova una statua del Dio della letteratura, al quale sacrifichiamo una stecca di incenso. La stessa cosa ha portato male a mia cugina… Il Giardino del Mandarino Yù è interessante, a patto che non si siano già visti i Giardini di Sūzhōu. Durante la rivolta Tàipíng, la marina francese bombarda per rappresaglia il giardino, già raso al suolo dagli inglesi durante la Guerra dell’oppio. Nel fine settimana il Giardino è invaso di gitanti, impossibile scattare una foto senza un cinese nell’obiettivo.

Tempio del dio della Letteratura

La sera infine prediamo la metropolitana fino a Pŭdōng, fermata Lùjiāzŭi. Ci ritroviamo in una città del futuro, una larga strada alberata che conduce da nordovest, il Bund, fino a sudest, l’aeroporto; più avanti prende il nome di Shìji dàdào, viale del Secolo. Per attraversare la strada ci serviamo di una pensilina panoramica, affacciata sulla zona verde e su palazzi altissimi di vetro colorato. Oltrepassati gli scintillanti centri commerciali ci ritroviamo sotto i due grattacieli più alti della città: lo Shànghăi World Financial Center (Huánqiú Jīnróng Zhōngxīn), 492 metri per 101 piani, il più alto della Cina e il quarto nel mondo, e il bellissimo Jīnmào, 421 metri per 88 piani, il quinto più alto in Cina e il tredicesimo nel mondo. Il primo ha il primato della terrazza panoramica più alta; noi prendiamo l’ascensore per la sommità del secondo, il Jīnmào, dove raggiungiamo l’88° e ultimo piano per attendere l’arrivo della notte su Shànghăi. Da questa altezza si gode un panorama impareggiabile, interrotto solo dalla vicina mole dello SWFC. Mentre il cielo diventa blu cupo, le luci si accendono lungo l’arco del Bund ai nostri piedi. Possiamo vedere dall’alto il cantiere di costruzione della vicina Shànghăi Tower, progettata con criteri di sostenibilità, il cui completamento è previsto per il 2014: altezza prevista 632 metri per 128 piani, dovrebbe risultare il secondo al mondo dopo il Burj Khalifa di Dubai.

Da quassù sembra di essere affacciati da un aereo. I colori passano lentamente da quelli naturali del giorno al blu cupo e alle luci dorate della notte cinese, come un inchiostro versato sul panorama sconfinato di Shànghăi.

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