La storia della nostra vita

Premesso che non ci tengo a mettermi a tutti i costi controcorrente, e dunque dirò subito che Arrival del regista canadese Denis Villeneuve è un ottimo film, ritengo ci siano alcune cose da sottolineare a proposito del modo in cui la storia di questo first encounter con gli extraterrestri si trasforma nella trasposizione da carta stampata a grande schermo.

Ted Chiang, foto © José Mandojana

Ted Chiang, foto © José Mandojana

Lo sceneggiatore Eric Heisserer ha adattato un racconto lungo dello scrittore statunitense Ted Chiang, Story of your life, finalista al premio Hugo 1999, la massima onorificenza dell’editoria di fantascienza negli USA. Nonostante in quell’anno Chiang abbia 31 anni e soprattutto sia soltanto al suo quarto racconto pubblicato, dimostra una perizia sorprendente, e la sua storia si rivela forse la più interessante mai scritta tra quelle incentrate sullo sforzo di decifrazione di una lingua aliena.

La trama di racconto e film è identica, nelle sue linee essenziali: improvvisamente compare su tutta la superficie terrestre una serie di manufatti alieni (12 astronavi nella pellicola, 120 grandi specchi nel racconto) che mettono in comunicazione alcuni scienziati, sotto il controllo di militari e intelligence, con due appartenenti a una razza extraterrestre. La linguista Louise Banks riesce poco per volta a stabilire un metodo di comunicazione scritto con i due alieni, che Chiang si chiama Lampone e Raganella,  e che diventano Tom e Jerry nella versione italiana del film (nell’originale inglese sono Abbott and Costello, cioè Gianni e Pinotto — però quanti oggi in Italia ricorderebbero chi sono Gianni e Pinotto?) I militari e l’FBI controllano strettamente la comunicazione, vogliono sapere il motivo di questa venuta sulla Terra.

La lingua dei due eptapodi extraterrestri si rivela il riflesso fedele del loro modo di pensare, e nell’apprenderlo Louise e gli altri linguisti acquistano la capacità di vedere il tempo nella sua totalità, dal passato al presente e fino al futuro. Questo aspetto nel film è rappresentato con efficacia dai logogrammi di forma circolare che Tom e Gerry disegnano sul vetro; Chiang racconta invece la storia di un linguaggio più complesso, che permette agli interlocutori di vedere contemporaneamente ogni elemento grafico della comunicazione. La parola chiave è appunto contemporaneamente, perché il linguaggio Eptapode B (cioè la lingua scritta) ha l’effetto di riprogrammare la mente di Louise Banks e la sua percezione del tempo, che abbandona la linearità per l’interezza.

Sviluppando questa idea semplice e bella, film e racconto raggiungono due effetti molto diversi. Arrival gioca sull’ambiguità del prologo che precede l’efficace scena in cui i colossali gusci alieni si materializzano sulla Terra. La voce narrante della protagonista racconta con poche frasi e alcune immagini tecnicamente perfette (la fotografia è di Bradford Young) il rapporto tra una madre, in cui si riconosce Louise, e la figlia, dalla nascita e fino alla morte per un male incurabile. Alcune situazioni del prologo vengono riprese nel corso della trama, seguendo il flusso di pensiero della protagonista, ma sempre in un contesto che fa pensare a avvenimenti passati. È soltanto quando la trama arriva al concetto di una lingua che permette di modificare la percezione del tempo che lo spettatore intuisce che gli avvenimenti del prologo devono ancora avvenire. Questo effetto magistrale è ottenuto grazie alla specificità del linguaggio cinematografico, e al fatto che lo spettatore trova naturale sistemare le immagini secondo un criterio lineare.

La risposta degli eptapodi alla domanda dei militari, Perché siete venuti? è: Per portarvi il regalo di un’arma. Questo naturalmente scatena la consueta, irrinunciabile crisi d’azione tanto cara a Hollywood, che porta dritto alla scena madre e al dénouement, peraltro ampiamente preannunciato dalle scelte narrative. L’arma eptapode è in realtà il linguaggio stesso, che mette in condizione di riprogrammare la percezione dello spaziotempo.

Il testo narrativo invece presenta uno schema narrativo diverso, anche perché gli intermezzi tra Louise e la figlia sono esplicitamente situati in un tempo a venire, e scritti in indicativo futuro. Gli alieni di Chiang non hanno nulla da regalare ai terrestri, e il fatto che Louise e gli altri linguisti acquisiscano il potere di superare il tempo lineare è unicamente un corollario dell’apprendimento dell’Eptapode B.

È ovvio che l’estetica di Hollywood, ormai assorbita dalla psicologia dello spettatore di tutto il mondo, non tollererebbe una mancanza di finalità negli eptapodi, e che di conseguenza l’éscamotage (o meglio il mcguffin, dal momento che di cinema si tratta) era una scelta quasi obbligata per lo sceneggiatore. Ma ciò comporta il vulnus di un piccolo vicolo cieco in un plot altrimenti ben oliato: se il linguaggio eptapode è un dono all’umanità, e ha come effetto l’abolizione del tempo, perché il fisico Ian Donnelly non “vede” la morte della figlia, e dev’essere la moglie Louise a metterlo di fronte alla devastante realtà?

Questo errore è evitato da Ted Chiang per una ragione molto semplice: la letteratura usa il linguaggio per raccontare una storia sui paradossi del linguaggio stesso, mentre il cinema usa le immagini — soprattutto un film di fantascienza, dove da sempre è scontato l’utilizzo di effetti speciali. I “semagrammi” di Ted Chiang sono l’idea hard (nel senso di hard science-fiction, a solida base scientifica) intorno alla quale ruota la trama, mentre l’idea alla base di Arrival è il contatto con gli extraterrestri. La letteratura di fantascienza ha già raccontato mille Primi Contatti, l’originalità di Storia della tua vita è nella centralità della semantica. Il cinema, è vero, a sua volta ha già mostrato alcune situazioni sul tema dell’incomprensione durante il primo contatto, da Ultimatum alla terra a Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma l’evoluzione tecnica degli effetti speciali digitali impone ogni volta di stupire lo spettatore con un’inedita emozione dell’immagine. Questa è ormai la storia della nostra vita di spettatori.

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